Al via l'INI - PEC: un'altra (solita) contraddizione all'italiana

In data 9 aprile 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 19.03.2013 che dà attuazione a quanto previsto dalla legge n. 221/2012 nella parte in cui viene istituito il cosiddetto "Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta elettronica Certificata".

Si tratta dell'elenco di tutti gli indirizzi di posta elettronica certificata su scala nazionale del quale fanno parte professionisti e imprese sia in forma individuale che societaria obbligati come per legge a dotarsi di tali indirizzi.

Attraverso il registro partendo dal codice fiscale o da altri dati come partita IVA, provincia di appartenenza o denominazione sociale, sarà, dunque, possibile risalire all'indirizzo pec del titolare dell'attività o del professionista.

In particolare il decreto (all'art. 6) individua i seguenti parametri di ricerca:

a) per le imprese - codice fiscale o, in alternativa, - provincia + ragione sociale/denominazione;
b) per i professionisti - codice fiscale o, in alternativa, - provincia + Ordine o Collegio professionale + nominativo. 


Il decreto in esame precisa, comunque, che  "l'accesso all'INI-PEC è consentito alle pubbliche amministrazioni, ai professionisti, alle imprese, ai gestori o esercenti di pubblici servizi ed a tutti i cittadini tramite sito web e senza necessità di autenticazione".

Ebbene tale affermazione già si presenta alquanto infelice almeno per un duplice ordine di motivi.

Da un lato, infatti, non si comprende a cosa serva specificare le sopra indicate categorie di soggetti quando, di fatto, sia possibile a tutti indistintamente e senza autenticazione informatica accedere liberamente al registro.

La norma in questione (si tratta dell'art. 6 comma 1) si caratterizza, dunque, per l'infelice scelta lessicale adottata, atteso che, per raggiungere il medesimo risultato, sarebbe stato più semplice affermare che l'accesso all'INI Pec è consentito a chiunque senza necessità di autenticazione.

Dall'altro lato, tralasciando l'analisi testuale della norma, vi sono, però, ulteriori aspetti su cui riflettere.

Il testo normativo così come elaborato consente, infatti, come detto a tutti indistintamente di effettuare delle ricerche e accedere, così all'indirizzo di pec di chiunque (tra gli appartenenti alle categorie sopra elencate) ne sia in possesso.

Il decreto cioè supera la precedente impostazione in base alla quale tale consultazione era riservata unicamente alla Pubblica Amministrazione o agli iscritti nel medesimo registro degli indirizzi elettronici (Reginde).

Su tale conclusione, sebbene inizialmente (e tuttora soprattutto tra i colleghi avvocati) vi siano alcune perplessità mi sento di affermare che di fondo la libera consultazione sia una scelta condivisibile atteso che è nella natura stessa di un registro, la funzione di essere consultato con l'evidente possibilità di utilizzare gli indirizzi pec per corrispondere "ufficialmente" con i soggetti in esso iscritti.

Del resto proprio perchè la PEC (se correttamente utilizzata e, cioè, tra soggetti dotati del medesimo strumento) produce i medesimi effetti legali della raccomandata cartacea non si comprende perchè la stessa non debba essere visibile a tutti. 

Cosa ci impedisce, infatti, oggi di inviare una raccomandata a.r. ad una società o ad un professionista presso la sua sede o il suo studio i cui recapiti sono pubblicamente accessibili ?

Ragionando nello stesso modo, dunque, l'utilizzo della PEC diviene un ottimo strumento sostitutivo della raccomandata classica con notevoli benefici in termini di tempo e spese.

Ciò premesso vi sono però alcune questioni che rendono, invece, le scelte legislative adottate un pò approssimative poichè pur partendo da buone intuizioni pervengono a risultati discutibili.

Tra le cose importanti da segnalare vi è infatti la circostanza che, sempre ai sensi del decreto in esame, i dati del registro sono disponibili in formato "aperto", ma probabilmente tale caratteristica viene frustrata da quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 6 nel quale si specifica che:

Il Portale telematica consente ai soggetti di cui al comma 1, attraverso i parametri di ricerca di cui al comma 2, di acquisire in formato aperto uno specifico indirizzo PEC

Secondo tale affermazione, sempre che la si interpreti in maniera restrittiva, sarebbe, dunque, possibile acquisire in modalità aperta unicamente uno specifico indirizzo PEC e non, invece, un elenco.

Così facendo la norma che, sebbene in apertura sembri voler ampliare il più possibile (e come detto a tutti) le modalità di consultazione del registro di fatto finisce con il limitare le possibilità di estrazione dati creando poi un'ulteriore discriminazione tra cittadino e Pubblica amministrazione.

Il successivo comma 4, infatti, stabilisce che: "Alle pubbliche amministrazioni registrate in IPA e' inoltre consentita, l'estrazione di elenchi di indirizzi di PEC secondo le modalita' di cui alle regole tecniche previste dall'art. 6, comma 1-bis del CAD".

Dunque non solo il decreto fa riferimento al dato aperto soltanto per lo "specifico indirizzo pec" e non per un elenco di indirizzi andando così a restringere la possibilità del libero riutilizzo al singolo indirizzo e non ad un elenco di indirizzi, ma va, anche a limitare la possibilità di estrazione di elenchi alla sola PA escludendo così il cittadino da tale funzionalità.

Esemplificando il cittadino potrà consultare l'INI Pec ricercando ogni volta un singolo indirizzo, ma non potrà mai estrarne un elenco e, dunque, utilizzare liberamente tale dato per proprie finalità (es: per crearsi un database di contatti con uffici pubblici).

Da un punto di vista tecnico, peraltro, non è chiaro come ciò potrà avvenire se non attraverso un sistema di autenticazione che distingua gli utenti (cittadini da un lato e PA dall'altro), contraddicendo ciò quanto visto in premessa in tema di accesso senza autenticazione.

Altrettanto discutibile appare anche il comma 5 dell'art. 6 che recita: "Al fine di facilitare l'utilizzo dei dati relativi agli indirizzi PEC, possono essere resi disponibili da InfoCamere alle Pubbliche amministrazioni, ai gestori dei servizi pubblici e agli operatori economici interessati, nel rispetto di quanto disposto in materia di tutela delle privacy, servizi evoluti di accesso, consultazione ed estrazione da regolamentarsi tramite apposite convenzioni".

Come interpretare, dunque, questa norma ? E soprattutto non appare in contrasto con lo scopo di libero accesso e consultazione ?

A voler essere "cattivi", a modesto parere di chi scrive, un'espressione di questo tipo non può che aprire la strada ad interessi commerciali quali servizi a pagamento (es: banche dati) offerti da Infocamere (che già attua un discreto business in materia) a PA o privati grazie ai quali incrociare informazioni o raccogliere dati per le più disparate finalità.

Se si aggiunge infine che, come pare, il decreto non sia stato neppure sottoposto all'attenzione del Garante Privacy prima della sua stesura definitiva, non si può che pervenire, come sempre alle solite amare conclusioni.

Anche la norma in esame infatti, (come molte altre concepite in passato in questo Paese) sebbene inizialmente animata da buone intenzioni, nella sua stesura definitiva, finisce per essere snaturata e frutto di numerosi compromessi che purtroppo non tengono conto del reale interesse di cittadini.

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