La tutela del diritto d'autore del programmatore software

In questo breve contributo proviamo ad esaminare quale normativa regola i principi del diritto d'autore nel campo del software e, cioè, in particolare, quali tutele ha il programmatore che realizza un programma per elaboratore elettronico.

In Italia la materia della tutela normativa del software è stata affrontata, per la prima volta, soltanto con l'entrata in vigore del Dlgs n. 518/1992 che, a sua volta, ha dato attuazione alla direttiva CEE n. 90/250 andando, così, ad integrare le disposizioni della già esistente legge sul diritto d'autore (l. 22 aprile 1941 n. 633).

A seguito di tale introduzione normativa il software, meglio definito dalla norma come “programma per elaboratore elettronico” è stato equiparato alle opere dell'ingegno creativo (così come la musica, la letteratura, il cinema, ecc..) sebbene con delle importanti differenze sotto il profilo della sua tutela.

La norma in questione, peraltro, si occupa proprio della tutela dell'opera dell'ingegno in quanto tale, disciplinando i diritti di sfruttamento economico, le facoltà di utilizzo e le sanzioni conseguenti alla duplicazione ed alla distribuzione abusiva dei programmi, ma non esiste, allo stato, alcuna disciplina degli aspetti contrattuali che legano gli sviluppatori ed i distributori di software, fatta eccezione per il caso del programma elaborato dal lavoratore subordinato i cui diritti di sfruttamento (salvo diversi accordi espressamente pattuiti) spettano, in via esclusiva, al datore di lavoro.

In particolare l'art. 2 della legge 633/1941, al comma 8 inserisce tra le opere appunto meritevoli di tutela “i programmi per elaboratore, in qualsiasi forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell'autore. Restano esclusi dalla tutela accordata dalla presente legge le idee e i principi che stanno alla base di qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli alla base delle sue interfacce. Il termine programma comprende anche il materiale preparatorio per la progettazione del programma stesso”.

In sostanza, come per le altre opere dell'ingegno la protezione sorge sin dal momento della creazione dell'opera stessa, ma a differenza delle prime (es: opere di letteratura), la tutela non si riferisce all'opera nella sua immaterialità, bensì alla forma con cui l'opera è realizzata e cioè al c.d. “codice sorgente” inteso appunto come il linguaggio informatico (il c.d. listato) con cui il programma è stato elaborato, ivi incluso il relativo materiale preparatorio.

Come detto sopra qualora il software sia elaborato nell'ambito di un rapporto di lavoro i relativi diritti economici spettano al datore di lavoro (art. 12 bis l. 633/1941), mentre se il programma viene realizzato in virtù di una prestazione d’opera senza subordinazione (contratto d'opera appunto), la titolarità dei diritti spetta in via esclusiva soltanto a chi lo ha realizzato.

Al software è riconosciuta la medesima tutela anche temporale delle opere letterarie (e cioè 70 anni dopo la morte dell'autore) con riserva in favore del titolare non solo della riproduzione (ivi compreso l'adattamento e la modifica), ma anche dell'utilizzo del programma, così come la facoltà di escludere altri soggetti dalla possibilità di uso del programma stesso.

Proprio in virtù delle caratteristiche specifiche del software il programmatore, anche in caso di commercializzazione del programma, può mantenere inedito il codice sorgente inibendo così ad altri soggetti senza la sua preventiva autorizzazione di poterlo modificare (naturalmente fatta salva l'ipotesi in cui si tratti di software open source, argomento già trattato in altro contributo).

Così come per le altre opere dell'ingegno esiste uno specifico registro presso la SIAE che ha soltanto fini di pubblicità nel senso che dà una prova certa anche sotto il profilo temporale dell'appartenenza del software all'autore, ma anche in assenza di tale registrazione le tutele spettanti al programmatore sono le medesime.

Ciò premesso è necessario esaminare, in assenza di una specifica normativa sul punto come sono normalmente regolamentati i rapporti contrattuali tra il committente e lo sviluppatore del software.

Proprio in assenza di normativa specifica la fonte principale di regolamentazione di detti rapporti è rappresentata dal contratto intercorso tra le parti (committente e sviluppatore), con la conseguenza che, per la definizione di tutte le questioni non espressamente disciplinate, non si potrà che applicare la normativa generale sui contratti contenuta dal Codice Civile.

Ne consegue che potranno essere applicate, oltre alle norme generali sui contratti (1321 e ss. C.C), a seconda del rapporto intercorso tra le parti, o quelle sull'appalto (articoli 1655 e seguenti), oppure, quando si tratta di prestazione d'opera del lavoratore autonomo gli articoli 2222 e seguenti.

Ovviamente, qualora nel contratto espressamente stipulato tra le parti vi siano deroghe o esclusioni di applicabilità delle dette norme le stesse non saranno appunto applicabili. Diversamente, in assenza di regolamentazione, saranno appunto le norme del Codice Civile ad essere applicate, ovvero in mancanza, il rapporto sarà integrato dai c.d. “usi” (es: quelli elaborati dalle Province).

Come detto sopra il vero "valore" del software è rappresentato dal c.d. codice sorgente che, al di là della qualità del soggetto sviluppatore, rappresenta l'elemento fondamentalmente tutelato dalla legge sul diritto d'autore.

Lo sviluppatore può, infatti, facoltativamente decidere di cedere il codice sorgente completamente al committente, dietro il pagamento di un corrispettivo ulteriore rispetto a quello dell'attività di elaborazione ovvero di non cederlo affatto preferendo unicamente regolamentare le condizioni di utilizzo dello stesso incluse quelle relative al suo sfruttamento economico.

Possono dunque, generalmente verificarsi le seguenti ipotesi:

1) Cessione completa (o parziale) della titolarità del codice. Il programmatore consegna al committente per intero il codice sorgente e gli consente di utilizzarlo senza alcuna limitazione dietro pagamento di un corrispettivo. Alternativamente è possibile ipotizzare delle forme di “comproprietà” tra sviluppatore e committente;

2) Cessione del solo diritto di utilizzo del codice. Il programmatore, pur mantenendo in capo a sé la titolarità del software elaborato, consegna al committente il codice sorgente consentendogli di apportare delle modifiche e/o di commercializzare il programma potendo graduare in base alle proprie necessità le modalità di utilizzo dello stesso (es: se le modifiche potranno essere effettuate soltanto all'interno dell'azienda committente ovvero anche all'esterno e così via).

Soprattuto nella seconda ipotesi è frequente ricorrere al c.d. contratto di “deposito del codice sorgente” (in lingua anglosassone denominato contratto di “escrow”) che viene eseguito generalmente presso un soggetto terzo stabilendo, appunto, le condizioni (anche economiche) di tale deposito finalizzate a garantirne la disponibilità e la corretta conservazione, nell'interesse del committente.

Sebbene, anche in tal caso non esista una normativa italiana in materia, condizioni essenziali di tale contratto sono rappresentate quantomeno dalla durata del deposito e/o dalla condizione al cui verificarsi il codice sorgente tornerà nella disponibilità del proprietario, dalla designazione di un depositario terzo e dalle istruzioni per il deposito stesso.

Per evitare possibili fonti di contenzioso tali aspetti dovrebbero essere oggetto di adeguata regolamentazione contrattuale ed espressamente accettate da entrambe le parti. Il contratto di deposito, invece, dovrebbe essere oggetto di apposita e separata regolamentazione rispetto al contratto di sviluppo software.

In assenza di indicazioni specifiche emergenti dal contratto occorre effettuare un'attività interpretativa, tenendo altresì conto (come sostenuto da gran parte della dottrina), della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere dell'ingegno (ratificata in Italia con la legge n. 399/78) considerato che l’'art. 64 quater, comma 4 della legge sul diritto d'autore (la sopra citata n. 633 del 1941 e successive modifiche) la richiama espressamente per l’interpretazione delle clausole che disciplinano le ipotesi di utilizzo del codice del programma in assenza dell’'autorizzazione del titolare dei diritti economici.

L'articolo in questione infatti, conclude che, in ogni caso le disposizioni in esso contenute “non possono essere interpretate in modo da consentire che la loro applicazione arrechi indebitamente pregiudizio agli interessi legittimi del titolare dei diritti o sia in conflitto con il normale sfruttamento del programma”.

Per tale motivo anche la direttiva comunitaria sopra richiamata che di ha introdotto in Italia le norme sulla tutela del software, originariamente pensata in modo tale da garantire che il software elaborato su commissione fosse ceduto completamente al committente (ad eccezione dei c.d. “diritti morali), nella sua versione finale, è stata poi modificata rimettendo non più alla legge, ma agli accordi contrattuali tra sviluppatore e committente tale regolamentazione relativa alla cessione.

Nell'ipotesi di prestazione d'opera, per interpretare correttamente il profilo della titolarità del codice sebbene in via generale si possa affermare che la stessa spetti sempre all'autore, occorre, comunque, distinguere i casi in cui il professionista si sia occupato della mera traduzione in righe di programmazione del codice da quelli in cui egli abbia, invece, effettuato in proprio l'analisi, la pianificazione, la progettazione ed infine la realizzazione del software.

E' evidente, infatti, che, nel primo caso, la titolarità del codice sorgente resta, comunque, in capo all'azienda committente mentre, nel secondo, il software è di proprietà esclusiva dello sviluppatore.

Per evitare qualsiasi tipo di problema ed escludere ogni possibile forma di contenzioso legale, occorre, dunque, sempre stabilire tali aspetti con precisione in sede contrattuale.

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